30/10/2017 Ombretta Pisano 7482
In quei giorni Mosè, cresciuto in età, uscì verso i suoi fratelli. Vide il loro peso; vide pure un uomo egiziano colpire un uomo ebreo, uno dei suoi fratelli. Si voltò in qua e in là, vide che non c'era nessuno, e colpì l'egiziano, nascondendolo poi nella sabbia. Uscì il secondo giorno, ed ecco che vide due uomini ebrei che litigavano. Disse al cattivo: «Perché colpisci tuo fratello?». Disse: «Chi ti ha posto come capo e giudice su di noi? Vuoi forse uccidermi come hai ucciso l'egiziano?». Mosè ebbe paura e disse tra sé: «Certamente la cosa è risaputa». Il faraone sentì parlare di questa faccenda e cercò di uccidere Mosè, ma Mosè fuggì via dal faraone, si stabilì nel paese di Madian, e sedette presso un pozzo.
Il piccolo Mosè è stato salvato dalle acque. Allattato e svezzato in seno alla famiglia di origine, una volta entrato a pieno titolo alla corte egiziana, viene formato in tutte le discipline in cui venivano formati i funzionari: la scrittura, le scienze, la musica.
Mosè è cresciuto, è maturato, è «potente in parole ed in opere» (At. 7,22). Anche Gesù sarà descritto, in Lc. 24,19, come «potente in opere e parole», in uno dei tanti accostamenti tra lui e Mosè che troviamo nel Nuovo Testamento.
Istruito, maturo, all’apice della sua vita, Mosè vive un’esperienza che lo sveglia, che gli fa prendere coscienza del senso del suo essere al mondo. Mosè “esce” verso coloro che riconosce come suoi fratelli e “vede il loro peso”. Egli sa di avere in mano gli strumenti e la capacità per aiutarli, è generoso, sa agire, conosce le parole giuste, è influente. Il giovane Mosè è il prototipo della persona che ha studiato e sa raggiungere gli obiettivi che si è prefissato. Ma qualcosa si mette di traverso, e Mosè sperimenta il rifiuto e il fallimento.
Nel nostro testo troviamo una concentrazione significativa di verbi riferita a lui, soprattutto “uscire” e “vedere”. Una tale insistenza vuole attirare la nostra attenzione. Mosè sa “vedere” a tal punto, che l'ingiustizia che egli vede gli risulta insopportabile. Entra in contatto con una realtà che, dimostrandosi ben diversa da quella che si era costruito con la sua sapienza umana, lo espone all’imprevedibile che non sa gestire, e ha una reazione sproporzionata: si espone fino a compromettersi, fino ad uccidere.
Oltre all’uccisione dell’egiziano, un altro evento decisivo fa scendere Mosè con i piedi per terra: il rifiuto da parte del fratello ebreo (“chi ti ha posto come capo e giudice su di noi?”). Sono due eventi che, se da una parte rivelano le buone intenzioni di Mosè, dall’altra mostrano tutta l’ambiguità del suo agire, che ancora manca di qualcosa. Il suo problema è proprio che nessuno lo ha costituito come giudice di nessuno. Non ancora. E neanche il popolo è in grado, ancora, di conoscere chi è che manda Mosè. Manca Dio, la sua azione, il suo intervento, la sua “discesa” in questa storia di Mosè e del popolo che egli deve liberare.
Davanti a questo fallimento, Mosè si scopre radicalmente solo, e crolla. Con generosità immensa aveva rinunciato a tutti i privilegi per farsi povero con i poveri, oppresso con gli oppressi e invece viene respinto proprio da coloro ai quali voleva fare del bene. Il v. 29, pur così scarno, è drammatico: «Fuggì Mosè … e divenne straniero nella terra di Madian». Mosè, il coraggioso, fugge e perde tutti i diritti di uomo, perché uno straniero, non potendo contare su una famiglia, è alla mercé di chiunque. Mosè, dunque, “si stabilì nel paese di Madian, e sedette presso un pozzo”, si è seduto e ha detto: basta ho diritto anch'io alla mia vita.
Sembra una costante dell’agire di Dio nella vita di quelli che egli chiama. Lo vediamo anche con San Paolo: dopo l’evento di Damasco passano almeno dieci anni prima che gli riesca di portare a termine una missione. Anche lui ha vissuto un periodo di grande oscurità ed isolamento. All’inizio predicava con entusiasmo, ma era un personaggio scomodo per tutti e dopo i primi tempi di predicazione, viene rimandato a Tarso (At 9,30), dove vive lavorando da artigiano.
Non è raro che, nei casi di queste grandi conversioni, il Signore permetta un periodo di durissima prova di purificazione che operi un cambiamento nel modo di vedere le cose, e che deve maturare lentamente. Immaginiamo che la reazione sia di Paolo che di Mosè sia stata anche di risentimento: è difficile accettare il modo misterioso e incomprensibile dell’agire di Dio. Si è investiti da mille dubbi: c'è veramente un disegno di Dio sulla mia vita oppure sono sogni del passato?
Così Mosè, e così noi. Bisogna aspettare, perché è Dio che guida e determina i tempi e gli eventi. È vero che Mosè ha tagliato i ponti con la sua vita passata, che è diventato straniero, che ha pascolato il gregge di un altro e ha vissuto una vita radicalmente diversa dalla precedente, ma bisognava che avvenisse questo. Al termine di questo imprecisato lasso di tempo, quando sembra che anche Dio si sia dimenticato delle sue promesse, Mosè uscirà di nuovo, per pascolare le greggi. Ma qualcosa in lui è rimasto vivo, e su questo Dio tornerà a costruire una storia nuova.
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