27/11/2017 Ombretta Pisano 7484
Nel tempo pasquale, abbiamo modo di accostarci ai testi che si trovano alle radici della nostra fede, i racconti della Pasqua. La descrizione che ne troviamo nel libro dell’Esodo è quella di una festa che è “memoriale perenne” della salvezza prodigiosa operata dal Signore e che ogni generazione deve celebrare (Es 12,14) .Il termine ebraico “zikkaron”, “memoriale”, indica l’attualizzazione di un passato nel presente della celebrazione soprattutto liturgica. Ma la Pasqua è “memoriale” non solo perché commemora un passato, ma perché riproduce nell’oggi d’ogni generazione la salvezza donata da Dio al suo popolo oppresso. Riporta il passato nel nostro presente e al tempo stesso proietta noi dentro il passato che celebriamo. Ancora oggi gli ebrei che celebrano la Pasqua ricordano che “In ogni generazione ognuno deve considerare sé stesso come personalmente uscito dall’Egitto, poiché la Torah dice “in quel giorno dirai a tuo figlio: questo è ciò che il Signore fece per me quando uscii dall’Egitto” (Haggadah di Pasqua). Su questa festa si innesta il memoriale cristiano del “passaggio” di Gesù, Agnello il cui sangue dà la vita, che ci rende testimoni del fatto che si può passare attraverso la morte e uscirne risorti alla libertà di figli.
Ma Israele non ha finito il suo processo di liberazione con il passaggio del Mar Rosso. La storia del cammino nel deserto dopo la Pasqua, che è paradigmatica per tutti i noi, è continuamente costellata dal dubbio e dalla mormorazione (“Dio è sì o no con noi?”, “perché ci hai portato fuori dall’Egitto per farci morire nel deserto?”) nonostante Dio abbia dato ampia prova della sua vicinanza che salva.
Deserto. Deserto è dove si sperimentano la tentazione e la prova. È il luogo dell’aridità, dove non c’è distrazione di sorta, e c’è silenzio. Quindi, è il luogo in cui è possibile imparare a conoscere Dio, ascoltare la sua Parola. Il deserto è il luogo dell’educazione al rapporto con Dio perché lì ci si rende conto che tantissime cose che possediamo non servono a vivere. In questo cammino nel deserto Israele si imbatte in alcune situazioni che costituiscono altrettante crisi, come quelle della manna e delle quaglie (Es 16), e delle acque di Massa e Meriba dove il popolo soffre la sete e allora Mosè colpisce la roccia e ne sgorga acqua (Es 17).
In uno schema ricorrente, nel deserto il popolo sperimenta una necessità, un’insufficienza – grida a Dio (e a Mosè) ritornando sempre sullo stesso ritornello: “fossimo morti in Egitto” oppure “Perché ci hai fatti uscire dal paese d’Egitto?” – Dio risponde dando quello che gli viene chiesto, ma poi esige che questo nuovo segno non sia dimenticato. Per questo viene conservata un po’ di manna, in modo che tutti i discendenti di Israele si ricordino che Dio li ha nutriti nel deserto, e per questo viene dato un nome al luogo dove Mosè ha fatto sgorgare l’acqua (“Massa e Meriba”) che ricordi che lì l’acqua non mancò a Israele. Insomma, Israele deve essere educato a fidarsi di Dio, senza dubitare che, nel deserto e nella difficoltà, lui lo nutre e lo disseta e gli dona la vita continuamente. Solo nel deserto, cioè nell’assenza di tutto, il popolo (e noi) si può rendere conto che è Dio che dona la vita, non i nostri mezzi.
Obbedienza. Nel cammino nel deserto il popolo deve imparare a fidarsi di Dio nell’assenza di tutto, e quindi imparare a obbedire alla sua Parola. Non l’obbedienza dello schiavo come quella che Israele doveva all’Egitto, ma quella del figlio, alla parola che dà la vita.
Questo discorso dell’obbedienza è fondamentale quando si arriverà al Sinai, al dono della legge. Al Sinai il popolo può veramente dire di essere libero perché è in grado di obbedire alla Parola che il Signore gli dona. L’obbedienza alla legge, alla Parola del Signore, è un atto di libertà, lo possono fare le persone libere. Ma anche questa libertà è dono di Dio, frutto della sua vicinanza amorevole che educa il suo popolo. È questo lo scopo dell’uscita dall’Egitto e della Pasqua.
Questo discorso ha un rilievo di natura pedagogica, soprattutto se siamo educatori o ci occupiamo di “accompagnare” altre persone: prima viene l’educazione alla libertà, perché solo le persone libere possono ascoltare la voce del Signore e seguirla fino in fondo. La nostra risposta è sempre risposta all’amore liberante di Dio.
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Mosè convocò tutti gli anziani d'Israele e disse loro: “Andate a procurarvi un capo di bestiame minuto per ogni vostra famiglia e immolate la pasqua. Prenderete un fascio di issòpo, lo intingerete nel sangue che sarà nel catino e spruzzerete l'architrave e gli stipiti con il sangue del catino. Nessuno di voi uscirà dalla porta della sua casa fino al mattino. Il Signore passerà per colpire l'Egitto, vedrà il sangue sull'architrave e sugli stipiti: allora il Signore passerà oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare nella vostra casa per colpire. Voi osserverete questo comando come un rito fissato per te e per i tuoi figli per sempre. Quando poi sarete entrati nel paese che il Signore vi darà, come ha promesso, osserverete questo rito. Allora i vostri figli vi chiederanno: Che significa questo atto di culto? Voi direte loro: E' il sacrificio della pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l'Egitto e salvò le nostre case”.(Es 12,21-27)
Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. (Dt 8,2-3)
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