Articolo: Genesi 2: la creazione dell’uomo e della donna e la loro collocazione nel giardino di Eden

13/03/2019     Ombretta Pisano     7772

(Questo testo è stato presentato in una serie di incontri parrocchiali su Genesi 1-11)

Il capitolo 1, che già narrava della creazione dell’umanità come insieme di uomo/donna (l’essere umano non è un individuo isolato, ma una unione, non un singolo, ma un plurale), finiva con un inno, un canto davanti alla bellezza di quanto operato da Dio, che parla e la sua parola si realizza; separa e dà ad ogni cosa creata la dignità della sua unicità; che chiama, assegnando ad ogni creatura il suo posto e il suo compito all’interno dell’universo e della storia. Come culmine della sua opera crea l’umanità, distinta in uomo e donna. L’umanità è l’unica delle creature a rimandare direttamente a Dio, perché ne è l‘immagine. Significa che guardando all’uomo e alla donna nella loro specificità ed unicità si vede in qualche modo Dio stesso

E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.

Nella bellezza originaria dell’uomo e della donna, usciti dalla parola e dalla mano di Dio, in obbedienza amorosa al compito affidato di essere mediatori tra la vita puramente animale (che hanno come impegno a crescere, moltiplicarsi e cibarsi) e la vita divina (con il compito di governare sul creato come Dio stesso), in questa straordinaria bellezza l’umanità è in grado di dire veramente qualcosa di Dio e della bellezza di Dio, di farlo conoscere per quello che è: amore che crea e benedice. Questo è il compito dell’umanità nel mondo: un mondo articolato, vario, pieno di differenze in cui ciascun essere umano, nel suo essere unico e differente, sta come un custode; non come un custode che conserva cose vecchie, o cose che considera solo sua proprietà, ma come un custode che promuove e che, dando a sua volta il nome alle cose, sa riconoscere la loro specificità e sa collocarle nel mondo, sa dare loro il posto creato da Dio per loro. L’umanità come uscita dalla parola e dalla mano di Dio, è un insieme di uomini e donne che fanno discernimento: su se stessi, sulle cose e sugli altri (come un insegnante nei confronti degli studenti, come un genitore riguardo ai figli). L’umanità come ci appare da questi racconti della Genesi, insomma, è padre e madre dell’universo creato e di quanto esso contiene. E’ in questo senso che dobbiamo intendere il compito di dominarlo.

 

L’umanità/adam è uomo e donna, come abbiamo visto nel capitolo 1. Questo significa che non troviamo, in questi racconti, la biografia di un personaggio lontano da noi, di un tale che si chiamava Adamo è che è spuntato improvvisamente da chissà dove nella notte dei tempi. Qui si racconta ciò che l’umanità intera è ed è per sempre, ciò che noi siamo anche oggi, tutti. Significa che questa parola parla di noi, ci riguarda e che nessuno può permettersi di dire “non sta parlando a me” : usciti dalla parola di Dio e dalla sua mano come da quella di un vasaio, dei “vasi” di straordinaria bellezza e con un compito bello nel mondo. Se nel primo racconto l’umanità appare come culmine della creazione, come scopo finale, nel capitolo 2 l’umanità è il primo atto di creazione di Dio, appare per prima, Dio crea il mondo in funzione della creatura umana.

Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo 5nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c'era uomo che lavorasse il suolo, 6ma una polla d'acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. 7Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente.

 

In ambedue i racconti la creatura umana è il vero obiettivo di Dio: lui la pensa, la desidera, la modella e le dà la vita soffiandovi il suo stesso respiro. Il testo dice che Dio “soffiò nelle sue narici un respiro vivo” e la sua anima incominciò a vivere.

Gesù guarisce un sordomuto soffiando. Così in Marco 7, davanti al sordomuto, Gesù

guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: " Effatà ", cioè: "Apriti!". 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente

 

È Gesù che guarisce perché fa l’atto del Creatore, ri-crea.

 

E siccome questo discorso ci riguarda, NOI, OGGI, siamo il vero obiettivo di Dio: lui ci pensa, ci desidera e dal grembo materno ci modella e ci dà la vita soffiando in noi il suo stesso respiro.

Dallo stesso grembo materno ci chiama, regalandoci la bellezza della nostra identità unica e il nostro bel compito nel mondo, come suoi rappresentanti, come rappresentanti del suo amore che crea, custodisce, sa discernere, e promuove.

E dove altro può trovarsi, allora, il luogo dove questa umanità abita, se non in un giardino?

Il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. 

 

Un giardino (“gan”), che le traduzioni greca e latina hanno chiamato “paradiso”, un luogo di ricreazione per i re e i nobili. Il giardino è stato creato per farne l’abitazione dell’uomo. Esso è IL luogo dell’uomo, secondo il desiderio di Dio. Noi siamo nel mondo ma il mondo nostro è un giardino, è il paradiso. Questa volontà del Signore indica un destino. Secondo la tradizione ebraica (Midrash Genesi rabbah, XV 15,3) Adamo guardando a quest’opera di Dio nei suoi riguardi esclama: “guardate che buona azione ha fatto il S.: ha stabilito la mia ricompensa ancora prima che io cominciassi a fare qualunque cosa”.

Un giardino: l’immagine più desiderabile possibile per chi è abituato all’aridità del territorio del Vicino Oriente, un luogo lussureggiante, pieno di alberi belli e pieni di frutti squisiti, come gli ebrei avevano conosciuto in Babilonia, ammirando i fantastici giardini pensili che adornavano i palazzi; un luogo da guardare e da mangiare (non da guardare solo), dove scorrono abbondanti le acque che creano quattro fiumi, dove c’è, insomma, un rapporto pieno con la vita in tutte le sue dimensioni: “Delizia” è il significato della parola Eden. L’immagine è quella di un deserto che la presenza di Dio e dell’umanità, trasformano in un luogo di delizie. Anche, per esempio,in Isaia, nell’annuncio della venuta del Messia (Isa 51,3), il Signore trasforma il deserto in un Eden, come in una nuova creazione:

Davvero il Signore ha pietà di Sion,
ha pietà di tutte le sue rovine,
rende il suo deserto come l'Eden,
la sua steppa come il giardino del Signore.
Giubilo e gioia saranno in essa,
ringraziamenti e melodie di canto!

 

Il S. pone l’umanità in questo luogo di delizie, qui la fa riposare. Ma il giardino non è solo il luogo che attende l’umanità: è un compito:

Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse

Coltivare designa il lavoro della terra, ma non solo: ogni attività umana è “coltivazione”, è “cultura”. Ma c’è anche il custodire: si coltiva e si protegge, l’agire umano senza la dimensione della custodia, della protezione, della responsabilità non corrisponde al disegno divino sull’uomo, non è agire umano e diventa dis-umano perché diventa mero sfruttamento con cui l’uomo distrugge se stesso insieme allo spazio che gli è stato donato. Coltivare e custodire, che nella Bibbia sono anche i verbi usati per il servizio liturgico e per l’osservanza dei comandamenti. Nella Bibbia, i comandamenti del Signore si “custodiscono”. L’umanità è stata chiamata a questo rapporto con il creato, un rapporto che è di relazione con la vita: che sia di coltivare la terra per trarne nutrimento, che sia di riconoscere in Dio, attraverso il servizio liturgico della lode, la fonte della vita; che sia di custodire e osservare la sua legge, sempre per avere la vita.

Il giardino di Eden è un “luogo” che però è metafora di qualcos’altro: è il mondo stesso, in cui l’uomo immagine di Dio governa in armonia con Dio stesso e nel rispetto di quanto Dio ha pensato e voluto per ogni altra creatura. Sarà il luogo della sua ricompensa nella misura in cui avrà saputo renderlo veramente tale.

Il luogo delle delizie è il mondo che l’umanità ha il compito di realizzare. Ma l’uomo non è Dio, deve ricordare questo, quando esercita questo suo compito. Se l’essere umano non ricorda che non è Dio ma solo una sua creatura, c’è il rischio, sempre in agguato, di ritornare al caos, di tornare al “vuoto liquido” dove tutto è confuso e mischiato, e non c’è niente di solido. Allora ecco che oltre al compito, Dio dà all’uomo un comando:

Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, 17ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire"

Il comando (verbo zwh) fissa dei confini, è come la creazione: separa, delimita. Il “limite” del comando del Signore, crea la vita nel mondo, come ha fatto lui quando ha fissato un limite a tutte le cose. Osservare il comando è vivere. “L’uomo non vive di solo pane, ma di tutto ciò che esce dalla bocca di Dio”. L’uomo, la donna, i figli, … tutti noi abbiamo bisogno di limiti. Il limite, le leggi, i principi, i valori… non sono una limitazione della libertà ma il mezzo con cui ci rendiamo possibile la vita. Sono ciò che permette a tutti di vivere in pace nel proprio spazio, secondo la propria identità unica. Al di fuori della parola del Signore, che è anche comando, c’è la morte (ma questo l’uomo ancora non lo sa, a questo punto del racconto).

Ma appare in questo momento un elemento che contraddistingue ulteriormente l’umanità: il sentimento della solitudine. L’umanità ha questo compito grandioso, questa grande responsabilità, ma non può non ricordarsi che non è Dio, e scopre la sua solitudine davanti a tutto questo. È bellissimo che sia Dio stesso il primo ad accorgersi di questo essere “solo” di ogni essere umano, e a giudicarlo come “non buono”. Come abbiamo visto nel corso della creazione in sette giorni, tutto è “molto buono”. La solitudine “non è buona”, e il Signore si fa carico di questa difficoltà. È come se ad un certo punto, dopo avere preparato tutto e completato ogni cosa, si rendesse conto che manca ancora qualcosa, qualcosa di fondamentale per l’essere umano: l’essere in comunione con un altro/a, la comunità. Come colma questo vuoto? Fa quello che abbiamo visto con il resto della creazione: “separa”, “distingue” e da questo momento in poi, l’umanità diventa duale, maschio e femmina, uomo e donna. È come se l’umanità nel suo moltiplicarsi, aumentasse anche l’immagine di Dio. La donna è un’altra immagine di Dio. In quanto umanità, prima di tutto, e in quanto umanità femminile, poi. È un’immagine differente, un diverso punto di vista, ma che completa l’immagine di Dio.

La donna, insomma, dice una novità di Dio che non era ancora venuta fuori, che ancora non era stata rivelata, e con la quale nasce anche la capacità di relazione in reciprocità:

E il Signore Dio disse: "Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda". 19Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l'uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. 21Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. 

Il racconto ci dà un’immagine molto antropomorfica di Dio: qui lui non crea con la sua parola, né con le sue mani come un vasaio che modella l’argilla, né come un contadino che pianta un giardino: diventa un chirurgo che anestetizza ed opera, e poi uno scultore, che modella un osso. Induce un “torpore pesante” che fa in modo che possa realizzarsi la sua opera. Anche in altri testi biblici ritroviamo questo tipo di intervento di Dio, che, insieme al sogno, gli permette di rivelare la sua parola a qualcuno, i suoi progetti, e di realizzarli:

Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. Allora il Signore disse ad Abram: "Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in una terra non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi(Gen 15,12)

Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo(Mt 1,20)

 

La volontà di Dio è offrire un antidoto alla solitudine. Nessun animale può riempire questo vuoto atavico e radicale, perché nessun animale è così prossimo alla creatura umana. Vicinanza, somiglianza e differenza: la differenza crea la relazione e la vicinanza crea l’alleanza. Non ci può essere “alleanza” tra l’essere umano e l’animale, cioè un rapporto che si fonda sulla volontà e sulla libertà di essere l’uno/a per l’altro/a. Il rapporto con gli animali non è un rapporto di “comunione”, non c’è comunità con gli animali, che sono importanti, si (tanto che Dio stesso, nel testo, fa un tentativo di presentarli ad Adam). L’antidoto alla solitudine è l’aiuto, è l’ “alleato che gli corrisponda”, letteralmente “che gli stia di fronte”. Chi ci sta di fronte noi lo guardiamo in volto e lui stesso ci guarda in volto. Significa che siamo davanti ad un rapporto paritario, omologo; un aiuto che “risponda”, cioè un partner con cui dialogare, che ascolti ma che anche parli, a cui parlare e però anche da ascoltare. L’ ”aiuto” è in senso ampio: non è solo per lavorare o per riprodursi, ma la donna è la partner che insieme all’uomo realizza il compito davanti al quale le sole forze di questo risultano insufficienti. Insieme alla donna l’uomo può sperare di portare a compimento il suo compito nel mondo e insieme i due ridiventano “umanità” ma stavolta “comunità”, capace di realizzar il disegno di Dio per il mondo, come non gli riuscirebbe in solitudine:

Meglio essere in due che uno solo, perché otterranno migliore compenso per la loro fatica. Infatti, se cadono, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se si dorme in due, si sta caldi; ma uno solo come fa a riscaldarsi? Se uno è aggredito, in due possono resistere: una corda a tre capi non si rompe tanto presto.(Qo 4, 9-12)

Questa piena reciprocità dell’uomo e della donna è ribadita dall’immagine del “fianco” (o costola), che non deve essere capita in senso realistico, ma richiama la prossimità, la compagnia. Quanto siamo lontani dall’interpretare questo passaggio come il fondamento dell’inferiorità femminile rispetto al maschio, dal dare una connotazione sessista a queste parole!

Tanto lontani che, al vedere la donna, l’uomo stesso si scopre diverso e si scopre “uomo”, connotato come “maschio”, cioè prende coscienza di se stesso, scopre di avere una sua identità. Tanto lontani, da quel tipo di lettura, che solo dopo l’apparire della donna Adam inizia a chiamarsi “ish”, “uomo/maschio”. Attenzione a notare che la donna, nel testo, è chiamata “donna” (ishah, di sesso femminile) prima che l’uomo la chiami così

Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. "Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta".

Perché l’uomo non le il nome (accadrà solo dopo il peccato che l’uomo darà nome alla donna) ma la riconosce, cioè l’accoglie così come è stata pensata e voluta da Dio, l’ha accolta in quanto essere simile a lui, intima di lui. Adam non dà il nome alla donna, ma la riceve con il suo nome. Un’accoglienza che si manifesta in un inno, un secondo inno dopo quello sgorgato all’indomani della creazione della creatura umana, nel cap. 1.

…osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne.

 

“Ossa” e “carne” nella Bibbia indicano sempre appartenenza ed intimità: l’uomo e la donna hanno le stesse ossa e la stessa carne, c’è intimità tra loro. Questo avere la stessa carne può diventare “essere una carne sola”. Nella contemplazione della donna l’uomo esclama “osso DALLE mie ossa, carne DALLA mia carne, come a dire che davanti a lui c’è se stesso, ci sono le sue stesse ossa, c’è la sua stessa carne.

24Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un'unica carne.

 

Con questa “alleata corrispondente” che è la donna, l’uomo ha un rapporto così particolare che le altre relazioni si differenziano (e relativizzano). Il legame filiale si dovrà aprire a quello sponsale e a partire dal matrimonio le relazioni saranno diverse. Si tratterà di “abbandonare” padre e madre, cioè “trascurare”, far passare in secondo piano il rapporto obbedienziale rispetto ai genitori. Nel matrimonio israelitico era la donna ad abbandonare materialmente la casa paterna. Si tratta, evidentemente, di un altro significato, che va oltre il dato spaziale. La relazione stretta ed esclusiva, di obbedienza ai genitori viene derubricata a favore di uno “stringersi” (“si unirà” = “si stringerà”) al proprio partner, in modo che sia ormai questo rapporto di alleanza a prevalere. Questa immagine è anche metafora del rapporto tra l’uomo e Dio; nelle Scritture vengono usate le stesse espressioni: l’essere umano si deve “stringere” al suo Dio e non dovrà mai “abbandonare”, “trascurare” l’alleanza con Dio.

Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, 20amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e essendo unito lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità(Dt 30,20)

 

Ma cosa significa essere “una sola carne”? Letteralmente la frase è “saranno per una carne una”, “saranno verso una carne una”, cioè unica, cioè unita, cioè unificata. Distinti, ciascuno con la sua specificità, identità, differenza voluta da Dio, ma unificati in una realtà “una”. “Carne”, basar è uno dei termini con cui si intende la realtà corporea umana, ma non solo in senso fisico, ma anche nel senso di “persona in relazione”. Più tardi, San Paolo la userà in senso negativo a significare la “potenza peccaminosa” dell’uomo, l’inclinazione fortissima dell’uomo verso il male che è contrapposta alla vita nello Spirito. Qui, invece, è da intendersi come “corpo”, nel senso più ampio, e questo senso di “corpo” è molto importante perché indica una “comunione di diverse membra”, cioè come una vera alleanza corporea, di membra diverse ma tutte volte verso un essere “uno”, a tutti i livelli: la donna è una carne sola con l’uomo nel suo compito di coltivare a custodire la terra, di rapportarsi con il creato responsabilmente (oggi diremmo con tutti gli strumenti che servono per fare questo, a partire da quelli agricoli, fino ad arrivare all’uso della tecnologia oggi). Essere un corpo è essere un’”alleanza” per un obiettivo, un compito comune. Sarebbe interessante, su questo, interrogarsi come coppia: nel nostro quotidiano, la nostra esperienza come illumina e come viene a sua volta illuminata da questa parola sull’essere “verso UNO”?

“Essere una carne una”. Siamo “uno” ma allo stesso tempo siamo “di più”, siamo due, siamo famiglia. Parliamo di un “corpo” uno, che però non è “solo”, in cui non c’è solitudine, perché la solitudine non è buona!  È come se nella coppia umana ma anche più in generale nelle relazioni con l’altro, questo essere “umano” si ritrovasse di nuovo unito. Nell’alleanza matrimoniale l’umanità appare di nuovo “una”, come unione di maschile e femminile, ma a differenza di prima, di quando non c’era la separazione/distinzione uomo/donna, adesso sappiamo, abbiamo coscienza che l’umanità come essere umano non è solo, e non è bene sia solo.

C’è un bellissimo testo del profeta Malachia che dice molto bene il senso di questo essere UNO: “Il Signore è testimone fra te e la donna della tua giovinezza, che hai tradito, mentre era la tua compagna, la donna legata a te da un patto. 15Non fece egli un essere solo dotato di carne e soffio vitale? Custodite dunque il vostro soffio vitale e nessuno tradisca la donna della sua giovinezza. Perché io detesto il ripudio, dice il Signore, Dio d'Israele” (Mal 2,16).

Dio, unendo gli sposi, soffia in loro la vita. Separarli significa interrompere il respiro di questo “essere uno”.

Tutto questo illumina anche su Dio. L’essere una carne UNA mi diceanche qualcosa di Dio, che è UNO (il termine è lo stesso usato nella professione di fede d’Israele “Ascolta Israele, il Signore tuo Dio, il Signore è UNO”), e cioè che la creatura umana, uomo e donna, è immagine di Dio che è, si, UNO, ma non è solo! È anche lui comunione, alleanza, relazione, dialogo IN SE STESSO. Forse questo discorso ci può aiutare ad illuminare un po’ il discorso della Trinità. Un Dio che è UNO, che oltre a lui non ce ne sono altri, ma che NON È SOLO, in lui non c’è solitudine! C’è differenza e per questo c’è relazione, e questa relazione è una relazione che si ama. E tutto questo ci viene detto grazie all’umanità maschio e femmina, che è immagine di lui. Essere una carne UNA, è molto più che unire le membra, è un’alleanza corporea volta verso una meta comune.

L’uomo e la donna, nell’unione matrimoniale, entrano in una sorta di alleanza sacra che è lo specchio di quella tra Dio e l’umanità. Si tratta di diventare “una carne sola”, espressione che denota una relazione forte come quella di sangue. Nel libro del Levitico, nuore e cognate sono, per il suocero e per il fratello, delle consanguinee, e avere rapporti con queste è considerato tra i delitti più gravi. Nel Cantico dei Cantici, lo sposo parla dell’amata chiamandola “sorella mia”, ed è sempre nel Cantico che per indicare la forza del legame sponsale si dice “forte come la morte è l’amore” (Ct 8,6).

Questo è il quadro che ci offre questo secondo capitolo della Genesi: un quadro di bellezza assoluta che dice anche alle donne e agli uomini di oggi ciò che essi sono e sono chiamati a realizzare. Questa è l’umanità! Questa è l’umanità come Dio l’ha pensata e amata, e così essa è vera benedizione per la terra, e la fa diventare giardino di delizie. Proviamo anche a pensare alle conseguenze che la divisione nei termini di opposizione tra uomo e donna nelle nostre società, come anche nella Chiesa stessa, può portare con se come impoverimento e oscuramento totale del progetto di Dio!

(OP)