Cronaca di un cammino: L'altra riva (8-9 ottobre)

09/10/2019     Ombretta Pisano     7504

Da ieri al tramonto siamo entrati nella ricorrenza ebraica dello Yom Kippur, il “giorno dell’espiazione”. Si celebra dieci giorni dopo il Capodanno (Rosh haShanah) durante i quali si riflette sulla propria vita e si cerca di emendarsi perché Dio possa mutare il suo giudizio e scrivere il proprio nome nel Libro della Vita. La ricorrenza affonda le sue radici nel Primo Testamento (Esodo 30,10; Levitico 16,8-10; 23,27-31 e 25,9; Numeri 29,7-11). All’epoca dell'esistenza del Tempio, era l’unica occasione in cui il Sommo Sacerdote entrava nel Santo dei Santi, luogo della Presenza divina. Esistendo ancora la pratica dei sacrifici, il Sommo Sacerdote aspergeva del loro sangue il luogo del Santo, per purificare il popolo dai suoi peccati in una sorta di rinnovo dell’alleanza. Secondo ciò che leggiamo in Lv 16, veniva gettata la sorte su due capre: una per il Signore (da offrire in sacrificio) e una per “Azazel” (il “capro espiatorio”; non si conosce il  significato di questo nome) che portava simbolicamente su di sé i peccati del popolo e veniva mandata nel deserto. Oggigiorno, nonostante non esistano più né sacrifici né Tempio, la ricorrenza è restata una delle più solenni e sentite dal popolo ebraico. Si digiuna e ci si astiene da ogni tipo di attività, compresi i servizi pubblici. Il giorno di Kippur non si lavora, non si viaggia (né in auto, né con nessun altro mezzo). Tutto è chiuso. Le strade sono deserte, e il silenzio regna incontrastato.

Dovendo, quindi, anche noi adattarci alla situazione, abbiamo dovuto pensare anticipatamente ad una serie di misure pratiche, come ad esempio la spesa al supermercato per avere qualcosa da mangiare. Fino a quando abbiamo potuto viaggiare, abbiamo approfittato per visitare alcune località vicine al Lago di Tiberiade, dove soggiorniamo. Si tratta di località che normalmente non sono visitate dai gruppi di turisti e pellegrini, anche perché in qualche caso non ancora del tutto attrezzate. E’ il caso di Hyppos/Sussita (“Cavallo” in greco e aramaico). Di questa località, arroccata su una delle alture che circondano il lago nel suo lato sudorientale e in cui in epoca bizantina sorgevano ben 7 chiese, si è parlato recentemente perché vi è stato scoperto un mosaico molto antico (del V sec.) che riproduce il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (per leggere qualcosa di più sul ritrovamento: https://www.terrasanta.net/ ). L’importanza di questa scoperta sta nel fatto che Hyppos  potrebbe contendere alla più famosa Tabgha il titolo di località in cui il miracolo si è verificato, ma gli indizi sono pochi e incerti, in questo senso.

Essendo ancora un sito in scavo, vi si può arrivare o seguendo un sentiero a piedi che parte da En Ghev, in riva al lago, o (in auto) da una stretta stradina interdetta al traffico. Una volta arrivati in cima, siamo stati affascinati dalla bellezza e ricchezza di ciò che abbiamo trovato, tanto da restarci per circa un paio di ore. Una via principale lastricata in basalto, costeggiata da ciò che resta di edifici importanti e che arriva ad una cattedrale grande e importante, a giudicare dalle colonne e dai capitelli decorati in modo sofisticato. Ogni angolo parla dell’antica gloria di questa città, anch’essa parte della regione della Decapoli in epoca romana. Soli come eravamo in tutto il sito, e affascinati da ciò che ci circondava, ci siamo fatti prendere dalla “sindrome di Indiana Jones”: dovevamo trovare la chiesa del mosaico! Un cercare su e giù, a destra e sinistra per tutte le rovine, ma nulla! L’apparizione di un guardiano ha fortunatamente sbloccato la situazione, però in modo sfavorevole: la chiesa si trova in un luogo al momento interdetto e inaccessibile, col mosaico ricoperto nuovamente, a scopo protettivo. Ci è stato, però, anticipato che prevedibilmente entro il 2020 il sito dovrebbe essere aperto al pubblico e d attrezzato per le visite.

Liberati dalla “febbre” degli esploratori (anche il sole, molto forte, ha fatto la sua parte, probabilmente), siamo scesi per  recarci a Kursi, il luogo (Gadara o Gerasa, quale delle due è questione disputata)  in cui si ricorda il miracolo della guarigione dell’indemoniato (Mt 8,24-34; Mc 5,1-20; Lc 8,26-39). Qui il luogo è Parco nazionale, un’oasi curatissima, con prati verdissimi, alberi e fiori. Vi si trovano i resti in parte ricostruiti di una chiesa bizantina a tre navate con dei bellissimi mosaici. Poco in alto, sulla collina, si notano due grotte che la tradizione indica essere il luogo in cui l’indemoniato viveva, spaventando tutta la popolazione circostante.

A margine di questo episodio evangelico, che termina con l’allontanamento di Gesù dal villaggio, si può notare che di fatto (come la presenza della chiesa dimostra) la fede in Gesù ha comunque trovato la strada dell’accoglienza anche laddove in precedenza era stata rifiutata.

Qualche ora ancora a disposizione prima del tramonto che avrebbe dato il via al Kippur, ci ha consentito di fare un salto a Nazaret, dove Gesù visse con la famiglia e lavorò prima del suo ministero pubblico. Un salto dalla pace al caos: Nazaret non ha nulla da invidiare alle caotiche città che ben conosciamo  nel nostro quotidiano, tanto che dopo la nostra breve visita, a malincuore, pur passandoci in mezzo, non abbiamo potuto fermarci a Kfar Kanna (la tradizionale “Cana di Galilea” delle famose nozze).

Una volta rientrati, non è rimasto che attendere il silenzio del Kippur.

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La videocronaca della giornata: