03/11/2019 Ombretta Pisano 7486
Proviamo a immaginare la scena: Gesù entra nella città di Gerico, una città situata in una zona desertica che sorge su un’oasi. Collocata appena prima della discesa verso i 400 mt sotto il livello del mare dove si trova il Mar Morto.
Non è detto perché Gesù si recò a Gerico. Non interessa. Ciò che interessa è che “la stava attraversando” nella sua salita verso Gerusalemme, il luogo della sua passione, morte e resurrezione, dove si sarebbe manifestato chi veramente egli è. Questo “attraversare” viene espresso con un verbo che significa anche “spargere”. Gesù entra a Gerico, la attraversa come l’ha già attraversata la sua fama, o meglio, letteralmente “il logos su di lui”, la parola che lo riguardava (in Lc 5,15 è scritto che la parola su di lui si “spargeva” e molta gente si radunava per ascoltarlo e farsi guarire). Come già era avvenuto quando si trovava in Galilea, la sua fama gli attirava tanta gente intorno. Si tratta di gente che ne ascolta l'insegnamento e che chiede guarigione.
Un uomo in questa città, come ne incontra tanti Gesù quando “passa” in città, è degno di essere menzionato. Si tratta di Zaccheo. Zaccheo è “capo dei pubblicani”, il capo di tutti quelli che andavano a riscuotere le tasse per conto dell’occupante romano. I pubblicani sono famosi per arricchirsi sulle spalle dei contribuenti: oltre alla quota spettante al governo, vi caricano una somma cospicua per se stessi, la propria “ricompensa” per un lavoro odiato da tutti. Il capo di costoro, doveva essere ben più ricco, il che equivale anche a dire “ben più ladro”.
Quest’uomo cercava di vedere “chi è” Gesù tra la folla di quelli che lo circondano. Come aveva fatto anche Erode tempo prima, mosso dalla curiosità di “vedere” chi fosse colui che operava guarigioni e di cui si diceva che fosse Giovanni Battista resuscitato («Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo. Lc 9,9). Lo stesso Erode che, alla fine del vangelo di Luca, quando è cominciata la Passione di Gesù, lo interroga ed è tutto contento perché “da molto tempo infatti desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vederlo compiere qualche miracolo” (Lc 23,8). Sperava di vederlo, ma il solo momento in cui lo ha visto è stato quando gli è stato portato davanti in catene. Erode non ha fatto nulla per incontrare Gesù, non si è mosso, è restato chiuso nel suo palazzo. Ha visto Gesù quando gli è stato portato.
Fin qui, Zaccheo non è molto diverso da Erode, in rapporto alla persona di Gesù, non fosse che per un paio di particolari. Il primo: a differenza di Erode Zaccheo si muove, Zaccheo è uno che cerca. Il secondo: mentre Erode vuole sapere “chi è "il tale" di cui sente parlare tanto”, Zaccheo vuole vedere “chi è” Gesù, in mezzo alla folla che lo circonda. Zaccheo ne conosce il nome, sa chi cercare, ma non sa dove trovarlo. Invece, per Erode Gesù è "un tale", una curiosità, quasi un oggetto.
La bassa statura impedisce a Zaccheo di operare questa identificazione, di “vedere”. Percepiamo tutta la “bassezza” di Zaccheo anche nel fatto di venire in qualche modo sommerso, scansato, calpestato, spinto fuori dalla folla. Ne percepiamo anche la bruttezza, tutta la bruttezza di cui viene caricato dal disprezzo di chi lo guarda. Un odioso “tappo”, ladro e vessatore.
Zaccheo elabora una piccola strategia: intuisce dove deve passare Gesù, escogita di arrampicarsi su un albero. La sua voglia di vederlo è tale da non cedere, da non lasciarsi tagliare fuori dalla folla che lo respinge. La forza di Zaccheo è la determinazione e la tenacia.
Quando Gesù alza lo sguardo, sembra che lo faccia come uno che si guarda semplicemente intorno. Alla fine vediamo che non è così. Gesù “stava già cercando” Zaccheo, perché la risposta al “chi è Gesù” è: il Figlio dell’uomo venuto a cercare e salvare. La gioia di Zaccheo è quella di chi si sente riconosciuto, visto, considerato. Questo Gesù alzando lo sguardo verso l’alto, si china su di lui. Lo raggiunge nella sua piccola statura, nella sua bruttezza, anche nella sua carognaggine, potremmo dire. Fino alla sua bassezza. E mentre tutti mormorano che è un peccatore, Zaccheo dà la sua risposta all’alzarsi/abbassarsi dello sguardo di Gesù su di lui: il peccatore “si alza”. Il nostro testo dice: “Alzatosi, Zaccheo disse al Signore…”, come Gesù che aveva alzato lo sguardo e lo aveva visto sull’albero. La risposta a questo sguardo di Gesù che cerca, è l’alzarsi “dritto” di quest’uomo. Da piccolino diventa un gigante, la sua statura si erge, adesso, come quella di un oratore in mezzo alla piazza, di un testimone che viene visto da tutti. Convertendosi, riacquista il suo ruolo nella storia della salvezza.
Come una piccola lampada che viene esposta in alto per illuminare la casa intera, Zaccheo cambia l’orientamento della sua vita a beneficio di tutta la sua “casa”: non si salva da solo. Per se stesso e per il mondo delle sue relazioni, Zaccheo riacquista la sua dignità: non è più piccolo, perfido, brutto e crudele, vessatore e ladro, ma “anche lui è figlio di Abramo”. Un figlio di Abramo perduto e nascosto cui il Figlio dell’Uomo è stato mandato in soccorso dal Padre, “subito”, “oggi” (“Devo fermarmi a casa tua”). L’”oggi”, la necessità di cogliere l’occasione al volo e il momento opportuno, non riguarda solo la risposta di Zaccheo, ma l’obbedienza di Gesù alla missione del Padre, quella di “attraversare” i nostri luoghi per lasciarsi “vedere” e farsi aprire la porta di casa, per “cercare” coloro che si sono persi finché non li trova, ridando loro la dignità e l’”altezza” di figli e di figlie.
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