Discorso al Capitolo Generale della Congregazione di N.S. di Sion

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Bea, Agostino

Italia       15/01/1964

Premessa

Ringrazio il Signore che mi ha dato oggi la possibilità di parlarvi di un argomento, che sta tanto a cuore a me, che fui per quarant'anni professore di Antico Testamento. Certamente la questione ebraica mi è familiare ed anche cara. E capirete perché proprio il presidente del Segretariato per l'unione dei cristiani ha proposto al concilio uno schema sul nostro atteggiamento verso gli ebrei; la sua preparazione personale lo designava a ciò, anche prima di esserne incaricato da Papa Giovanni XXIII.


LA VOSTRA VOCAZIONE

Parleremo oggi delle nostre relazioni con gli ebrei cioè con i membri di quel popolo che un tempo fu il popolo santo di Dio e che si è conservato durante tanti secoli, in modo straordinario, malgrado le persecuzioni enormi che ha subito.
La vostra Congregazione ha per scopo - come è detto nella Regola - «la santificazione del prossimo, principalmente dei figli dispersi della casa d 'Israele».
Quando venne fondata, più di cent'anni fa, la situazione era molto diversa da quella d'oggi, specialmente dopo gli sviluppi che essa prende, grazie al pellegrinaggio del santo padre Paolo VI.
Allora ben pochi cattolici s'interessavano alla questione (come del resto neanche la questione ecumenica era conosciuta). Ma oggi la questione è molto viva, così viva che abbiamo potuto proporre al Concilio uno schema sul modo di trattare gli ebrei e che non ho sentito nessuna critica sul contenuto di esso. Se ne è discussa la opportunità, la posizione nell'insieme dei documenti conciliari, ma non il contenuto. E ciò prova che anche l'Episcopato vede l'importanza della questione.
Oggi la vostra vocazione speciale è dunque più urgente che mai.
Prima di tutto vi parlerò della vostra formazione - che comprende uno studio e una vita spirituale - e della vostra attività in generale. E poi risponderò a qualche domanda che mi è stata rivolta.


PRIMA UNO STUDIO

Sembra di poter arrivare ad una visione d'insieme, situando la vostra Regola nel quadro concreto della Bibbia e di quello che la chiesa sta intraprendendo per il popolo ebraico.

1. Le vostre suore dovrebbero conoscere a fondo tutto quello che riguarda l'Antico Testamento e la storia del popolo d'Israele.

L' Antico Testamento: non solo da qualche lettura, ma da una lettura continua e meditativa, specialmente di quello che riguarda l'elezione del popolo ebraico: cominciando da quella di Abramo, posta nel quadro concreto dell' antico oriente. I benefici di Dio verso questo popolo sono veramente straordinari. Per chi conosce la storia dell'antico oriente, la differenza è straordinaria - essenziale - fra il popolo israelita e gli altri popoli, nei confronti della religione. Si trova presso gli altri popoli qualche idea della divinità, ma immischiata o sommersa nel poli- teismo: si trova qualche idea di morale, ma imperfetta. Nell'Antico Testamento invece, si ha un'idea chiara di Dio, del Dio unico e trascendente e della morale. È proprio straordinario.
C'è poi la missione del popolo ebraico: preparare la venuta del Messia; conservare e trasmettere all'umanità la rivelazione, contenuta specialmente nei profeti, nei Salmi, nel libro dei Proverbi e negli altri libri didattici.
Vi è infine la storia del popolo e delle sue infedeltà; anch'essa importante per comprendere la rivelazione, la storia della salvezza, la pedagogia divina verso l'uomo, la sua sorte fino alla venuta di Cristo. Dunque, se volete trattare con gli ebrei, è importante per voi di seguire tutto un corso dell'Antico Testamento, piuttosto meditativo che scientifico, un corso di religione. Dovete mostrare che conoscete la loro religione, che conoscete i grandi avvenimenti della loro storia e che stimate quel popolo a motivo di quella rivelazione e di quella storia.

2. Bisogna conoscere il posto dell'Antico Testamento nel Nuovo, cioè tutti gli elementi dell'Antico Testamento che sono rimasti nel Nuovo e ce ne sono molti.

La rivelazione del Nuovo Testamento è incompleta senza la rivelazione dell'Antico. Per esempio, la dottrina della creazione del mondo ci viene dall'Antico Testamento; nel Nuovo non vi è che qualche accenno.
Pensate anche alla preghiera. Nel Nuovo Testamento abbiamo il Pater, ma non abbiamo una dottrina propriamente detta della preghiera e, di modelli, ne abbiamo assai meno. Invece, nell'Antico Testamento abbiamo il libro dei Salmi, tanto in uso nella chiesa da divenire come un libro del Nuovo Testamento. Quindi si dovrebbe meditare molto i Salmi.
Pensate anche a molti elementi dell'Antico Testamento che sono il punto di partenza della rivelazione del Nuovo, per esempio le profezie sul Messia, molto spesso citate anche nel Nuovo Testamento, specialmente quelle d'Isaia sul servo sofferente (Is 53), che sembrano quasi una descrizione anticipata della passione; pensate anche agli elementi dottrinali dei libri didattici, ripresi e sviluppati nell'insegnamento di Gesù (p. es. Mt 5-7 ecc.).

3. Inoltre, si devono conoscere, almeno nelle linee generali, le tradizioni posteriori del popolo ebraico.

La dottrina dell' Antico Testamento, dopo la venuta di Cristo ebbe ancora un suo grande sviluppo negli scritti rabbinici, nel Talmud ecc. Uno sviluppo che spesso non è conforme all'autentica rivelazione dell'Antico Testamento. Bisogna dunque distinguere, nella misura del possibile, gli elementi autentici e gli altri ammessi oggi dagli ebrei. Andare sino alle fonti è troppo difficile, ma almeno bisogna conoscere qualche pubblicazione su questo argomento per vedere i possibili punti di contatto con la chiesa.

4. Bisogna conoscere la storia posteriore del popolo ebraico, il male e il bene, le sofferenze, l'influenza ecc. , l'atteggiamento della chiesa e dei papi verso gli ebrei.

Qui forse dovremmo confessare molte colpe anche della chiesa stessa. Sapete quello che disse il santo padre Paolo VI a proposito della separazione dei cristiani: «Se fra le cause di questa separazione, una colpa potesse esserci imputata, ne chiediamo umilmente perdono a Dio e sollecitiamo anche il perdono dei fratelli che si sentissero offesi da noi». Questa parola fece molta impressione sui protestanti. E lo stesso per gli ebrei. La chiesa, e specialmente i figli della chiesa, i cristiani, hanno commesso delle ingiustizie contro il popolo ebraico. Si può confessarlo senza offendere la verità.
In tutto questo è chiaro che non si tratta di una conoscenza scientifica per tutte le suore. Ma sarebbe bene che qualcuna, formata più profondamente, potesse aiutare le altre. Il che vale soprattutto per i noviziati: non si può chiedere che tutte le maestre delle novizie siano formate sulla conoscenza di tutte queste questioni, ma si può anche chiamare in noviziato, per farvi qualche conferenza, l'una o l'altra delle suore specializzate.


UNA VITA SPIRITUALE

La vita spirituale è già quasi definita da quello che ho detto circa gli studi.

1. Anzitutto è necessario alimentare la vita spirituale mediante tutte le conoscenze menzIonate sopra.

Si devono meditare quelle nozioni e farne l'applicazione alla vita propria di ciascuno di noi. Per esempio: la storia del popolo ebreo, delle sue infedeltà, dei suoi peccati, bisogna applicarla alla nostra propria vita spirituale e alla vita spirituale del mondo di oggi.

2. In particolare dobbiamo conoscere a fondo l'esempio di Nostro Signore stesso.
Egli ha trattato quasi esclusivamente con gli ebrei non sempre molto ben disposti. Ha dato un magnifico esempio, che si può imitare nelle conversazioni, nei rapporti con gli ebrei di oggi. Anche Maria, madre nostra, ha trattato i suoi «correligionari» in modo sereno e religioso. San Paolo, il grande apostolo che ha patito tanto a cagione degli ebrei, ne parla talvolta molto serenamente, ma quando arriva in una città (p.es. a Roma: gli Atti lo dicono esplicitamente, ma questo vale anche per altre città) egli andava dapprima alla sinagoga per predicare agli ebrei; e soltanto dopo che gli ebrei avevano rifiutato di ascoltarlo, si rivolgeva ai pagani. Se leggete i capitoli 9, 10, 11 della lettera ai Romani, vi troverete una teologia del mistero d'Israele, che ha molto da insegnarci e può darci delle indicazioni sul modo col quale trattare il popolo ebraico.

3. È necessario vivere una vita di preghiera, di lode, di ringraziamento in nome del popolo ebraico che non lo fa sempre.

In suo nome ringraziare per tutti i benefici fatti a questo popolo e dati per mezzo di esso all'umanità. Una vita di riparazione delle infedeltà del popolo ebraico verso Dio, verso la sua missione, verso Gesù Cristo, il Messia, verso la chiesa. Non si deve dimenticare che colpevoli non sono soltanto i cristiani, lo sono anche gli ebrei lungo tutta la loro storia. Ho avuto un incontro a New York con i capi delle comunità ebraiche ed ho detto: «Bisogna fare un esame di coscienza dalle due parti, dalla vostra e dalla nostra, perché noi tutti abbiamo peccato e noi tutti dobbiamo confessare le nostre colpe e cercare di ripararle».

4. Riparazione anche delle mancanze dei cristiani alla gratitudine, alla carità, alla giustizia verso questo popolo e delle mancanze della chiesa lungo i secoli.

È chiaro che queste mancanze non toccano né l'infallibilità del papa, né della chiesa, sono soltanto dei modi umani di trattare, modi che si trovano anche nella chiesa. La chiesa avrebbe potuto essere molto più indulgente, molto più comprensiva con essi. Vi ricordate l'impressione che fece la soppressione ordinata da Papa Giovanni XXIII del «pro perfidis Judaeis» nell' orazione del Venerdì santo; fece un' impressione enorme nel mondo ebraico. Mi si è detto: «Ora non siamo più disprezzati dalla chiesa come prima». In realtà quell'espressione non derivava da un disprezzo della chiesa per gli ebrei, perché in origine «perfidis» non aveva il senso del nostro «perfido» moderno ma significava semplicemente gli ebrei «infedeli». Ma il popolo cristiano aveva preso la parola nel significato odierno.

5. Implorazione e zelo apostolico per la salvezza di questo popolo.

Ho già ricordato il capitolo 9 della lettera al Romani. Leggete e meditate i primi versetti di quel capitolo e vedrete come pensa e come agisce san Paolo. È una teologia del nostro modo di giudicare e di trattare gli ebrei. Il nostro atteggiamento deve essere di verità, di carità, di giustizia.
Si è parlato molto di ecumenismo fra cattolici, protestanti ed ortodossi. Non dimentichiamo che l'elemento essenziale,. fondamentale di tutto l'ecumenismo è la preghiera, la preghiera che fa miracoli. Se qualcuno tre anni fa, quando abbiamo iniziato il Segretariato per l'unione mi avesse detto quello che si è fatto nell'anno 1964, avrei detto: «Lei sogna, è impossibile!». E invece era possibile. Non col nostro lavoro - benché certo anch' esso vi abbia contribuito, ma con la preghiera di tanti cristiani, cattolici, e non-cattolici. Anche i non-cattolici hanno pregato molto. Hanno pregato anche ora per l'incontro del papa col patriarca Atenagora di Costantinopoli. Il patriarca stesso - l' ho saputo da uno dei suoi più intimi collaboratori - pregò per parecchi giorni di notte, dalle 24 alle 2 per la buona riuscita di quest' incontro.
Lo Spirito santo deve agire in questo movimento verso l'unione. E per quanto riguarda gli ebrei è la stessa cosa, proprio la stessa cosa. Bisogna pregare molto.
Se avete dei collegi è molto importante esortare le alunne a pregare molto per questa intenzione. E anche in questo modo agite nel senso della vostra vocazione.

6. Con la preghiera, il sacrificio.

Ciascuna di voi ha le sue croci, le sue difficoltà. Offritele per gli ebrei, per la chiarificazione del problema ebraico, che è anche un aspetto del movimento ecumenico, qui applicato al movimento per gli ebrei.

7. Bisogna nutrire un amore tutto speciale per il popolo ebraico, ad esempio di Dio stesso che lo ha eletto, di Gesù che ha voluto esaltarlo, di san Paolo e di altri.
L' amore, quando si manifesta nelle relazioni è molto efficace. Si possono compiere dei miracoli con l'amore; se si parla con comprensione, con intelligenza, si possono dire agli altri molte cose che altrimenti non si potrebbero dire.

IL LA VORO APOSTOLICO

1. Potete fare conoscere negli ambienti, dove è possibile, quello che avete imparato nello studio.

Non è possibile in tutti. Nei collegi potete alimentare lo spirito di comprensione, di amore, di apostolato verso gli ebrei. Nella attività dei collegi non dimenticate mai la vostra vocazione speciale, come diceva il vostro fondatore nella Regola: «principalmente dei figli dispersi della casa d'Israele». «Principalmente» anche nei collegi.
Potete diffondere l'aspetto particolare della spiritualità della chiesa verso il popolo ebraico fra le persone con le quali siete in relazione. Si sa che siete le suore di Sion e che avete un titolo speciale per parlare di questo argomento, il che non è di molte altre che possono parlarne solo accidentalmente, per così dire. Per voi è la vostra vocazione.

2. Collaborare con le iniziative che tendono a migliorare i rapporti fra ebrei e cristiani.

Sono le Amicizie ebraico-cristiane, che ci sono in Francia, in Olanda, negli Stati-Uniti, in Germania, e forse in altri luoghi. Esse hanno proprio lo scopo di stabilire dei contatti fra i cristiani e gli altri. Ci sono delle pubblicazioni che trattano questo argomento. Per esempio in Germania le «Rundbriefe», in America «The Bridge», di Monsignor Oesterreicher. Vi sono anche dei libri, tutta una letteratura su questa questione. Bisogna conoscerla, almeno quella nella propria lingua. Dovete avere qualche libro su questo soggetto nelle biblioteche dei vostri collegi. In una pubblicazione, Chrtsten und Juden, di Thieme si trova una bibliografia di 6 pagine su questo argomento.

3. Infine, secondo le possibilità, collaborare con gli ebrei stessi, in tutta fraternità, per affermare i valori religiosi e morali.

Ci sono molti ebrei profondamente religiosi e morali, che possono e vogliono collaborare con voi. Se vi si offre l'occasione, non dovete mancarla. Si può trattare p. es. della morale naturale dell' Antico Testamento, che in fondo è la nostra morale. Il Signore ha detto: «Non sono venuto per abolire la legge, ma per perfezionarla» (Mt 5,17). Si può collaborare con essi per l' affermazione del monoteismo, cosa importantissima oggi, data l'enorme propaganda dell'ateismo contrario all'ebraismo come al cattolicesimo, ad ogni monoteismo, ad ogni religione. Si può trattare della tutela dei diritti dell'uomo.

4. Inoltre ci sono tutte le attività caritative, di assistenza.

Gli ebrei fanno molto in questo campo. Collaborare con essi vuol dire migliorare i rapporti vicendevoli. Ci si dovrebbe dare la pena di vedere dove si può fare qualcosa assieme; e in tutte queste attività, si deve mostrare praticamente agli ebrei il vero volto della chiesa, il vero volto di Cristo, loro Messia: il Cristo della chiesa. Molti pregiudizi hanno la loro origine nell' ignoranza o negli errori sul significato e la natura della chiesa. Non è solo il caso degli ebrei, ma anche dei protestanti e degli ortodossi. Ora il santo padre ha compiuto il suo meraviglioso pellegrinaggio e gli orientali lo hanno visto; ieri un delegato del patriarca mi diceva: «Ora gli orientali hanno visto un papa come è e non secondo l'idea che se ne facevano di un papa sovrano di questo mondo, imperatore ecc. Lo hanno visto come egli è, tale e quale, nell'esempio meraviglioso che ha dato: era soltanto pellegrino, senza nessun fasto esteriore».

5. Quando è possibile, parlare con gli ebrei anche di questioni religiose, in tono amichevole, fraterno.

Ma, lo dico esplicitamente, a condizione di avere una conoscenza teologica sufficiente. Quando si tratta del famoso «dialogo» con i non-cristiani e con i non-cattolici, insisto sempre perché non si faccia del dialogo quando non si è preparati e non si conoscono le questioni in gioco.


Questa cosa è dunque molto delicata, ma importante. Le conversazioni saranno improntate a carità e a fedeltà integra alla verità. Non si deve mai fare del falso irenismo, cioè attenuare la verità, ma si deve professare la verità com'essa è, con prudenza, nel rispetto assoluto delle coscienze. E' importante non forzare gli altri, lasciare loro piena libertà di seguire la loro coscienza, ma offrire gli elementi per dare la possibilità di formarsi una «retta coscienza» (rectam conscientiam ha detto Giovanni XXIII nell'enciclica Pacem in terris, quando parla della libertà religiosa). Si devono dare gli elementi necessari perché gli ebrei possano formarsi una retta coscienza sulla chiesa cattolica. Questo è lo scopo del dialogo. Ho detto con prudenza. Non si deve per esempio trattare anzitutto del Messia o della morte di Gesù; soltanto col tempo si potrà parlare di queste questioni più difficili.
Il santo padre disse a Betlemme: «Siamo disposti a prendere in considerazione qualsiasi mezzo ragionevole capace di appianare le vie del dialogo, nel rispetto e nella carità, in vista di un incontro, che si avrà in avvenire». E il santo padre continua nello stesso discorso: «Noi ci asterremo dal sollecitare dei passi che non sarebbero liberi e pienamente convinti, cioè mossi dallo Spirito del Signore, che soffierà dove e quando vorrà. Noi aspettiamo quell' ora felice; noi non chiediamo per ora ai nostri carissimi fratelli separati che quello che ci proponiamo a noi stessi: che l' amore di Cristo e della chiesa ispiri ogni eventuale passo di riavvicinamento e d'incontro. Non è difficile applicare i principi dell'ecumenismo anche al dialogo con gli ebrei.

Ecco, mie care suore, uno sguardo d' insieme alla vostra formazione e .alla vostra attività. Credo che avete un campo molto vasto e importantissimo da coltivare nello spirito del vostro fondatore. Forse col tempo potrete anche compilare un Direttorio spirituale ed apostolico per le vostre suore. Sarà utile avere un commento più profondo, più vasto, più adatto alla situazione moderna.


RISPOSTA A QUALCHE DOMANDA

In che modo il popolo d'Israele continua a compiere la sua funzione nel mondo?

Il popolo d'Israele senza dubbio continua a compiere la sua missione senza saperlo. In primo luogo come testimone della rivelazione dell'Antico. Ricevette i libri ispirati e ce li trasmise; essi sono ancor oggi oggetto di amore e riverenza. Supponete che il popolo d'Israele, come tale sia scomparso: la rivelazione dell'Antico Testamento e la storia della salvezza, le promesse messianiche, tutto questo diverrebbe pallido e astratto, lontano dall'uomo; mentre ora è, per così dire, incorporato in un popolo. Le letterature sumerica, babilonese e assira, ittita, sono per noi letterature morte; si possono studiare all'Università, se ne possono fare delle tesi di dottorato, ma non ci dicono nulla. E' tutt'altra cosa con l' Antico Testamento che è conservato per così dire quasi nel suo corpo, cioè nel popolo stesso al quale era destinato. E questa missione spiega anche meglio il fatto della dispersione di questo popolo. Bisogna ricordare che la dispersione non è la punizione di quello che hanno fatto contro il Signore Gesù Cristo. La dispersione era incominciata ben prima con l'esilio babilonese; nell'Impero Romano ai tempi di Gesù Cristo e degli Apostoli vi erano 4 milioni e mezzo di ebrei, cioè 1'8% della popolazione dell'Impero Romano. Vedete dunque che questo popolo era già disperso in tutto il mondo antico e vi diffondeva la conoscenza dell'Unico Dio. Vi erano nella Grecia, a Roma e nell' Africa settentrionale più di 150 colonie ebraiche. A Roma vi era una grande colonia e qui abbiamo delle catacombe ebraiche come delle cristiane. In Egitto, al tempo di nostro Signore, vi era un milione di ebrei e in Siria un milione e un quarto. Vedete come il popolo d'Israele aveva già una grande missione; missione incominciata al tempo dei Patriarchi, continuata lungo la storia del popolo ( «affinché conoscano che sono Jhwh» ), sussistente sino alla fine dei tempi, secondo san Paolo.
Così questa missione continua ancora. Se vi sono degli ebrei nelle Indie, in Giappone, sono i rappresentanti del monoteismo e se sono dei buoni ebrei predicano ancora oggi il monoteismo nei paesi non-cristiani. E per questo si dovrebbe apprezzare molto la missione degli ebrei nella dispersione; in essa il popolo ebraico è certamente destinato ad aprire la strada al Cristo, pur non riconoscendolo egli stesso. Forse per un gran numero, la prima conoscenza del monoteismo può aversi dagli ebrei.

Il Signore disse sulla croce: «Pater, dimitte illis non enim sciunt quid faciunt». Si può domandarsi come restare fedeli alla volontà del vostro fondatore senza prestarvi ad una falsa interpretazione di questa parola del Cristo? Fedeli quanto al pensiero, e fedeli all' espressione della preghiera vocale?

È certo che, se il Signore dice lui stesso: «non sanno quello che fanno», vuol dire: non possono comprendere tutta la profondità, tutta la gravità di quello che fanno. E' impossibile giudicare. Dio solo lo può ed Egli ha detto: non sanno quello che fanno. Il che non vuol dire che essi non commettono un peccato condannandolo, ma che il peccato sarebbe molto più grave, se conoscessero tutta la profondità di quello che fanno. Ecco dunque una spiegazione della parola del Signore che possiamo accettare senza difficoltà, senza attenuare indebitamente né l'errore, né il peccato dei capi del popolo d' Israele e senza ingannarci nell' interpretare la parola stessa del Signore. In questa questione come in molte altre, non si deve giudicare. Con tutta la scienza e tutta la teologia, abbiamo una conoscenza molto limitata, piccolissima, molto ristretta. Soltanto il Signore può vedere tutta la profondità del fatto e la psicologia di colui che agisce. Lasciamo il giudizio al Signore. Ci basti avere un vero amore, un vero zelo apostolico. Il giudizio è di Dio.


ORIENTAMENTO GENERALE

Veniamo a quello che è importante all'ora attuale, l'orientamento generale della vostra Congregazione, direi: una visione più profonda dell'idea fondamentale del vostro fondatore, che aveva ricevuto grazie così grandi da Dio.
Idea che si può realizzare meglio oggi che al suo tempo - come ho detto da principio - molto più facilmente, molto più efficacemente di prima. Vi è oggi un elemento nuovo: un buon numero di ebrei sono molto meglio disposti verso la chiesa cattolica di quanto non lo fossero al tempo dei padri Ratisbonne. Ho già parlato del pellegrinaggio del santo padre che ebbe un risultato considerevole anche sotto questo aspetto.
Dunque molto coraggio, molta fiducia. Oggi possiamo dire, meglio che al tempo delle crociate: «Dio lo vuole», e Dio aiuterà le vostre deboli forze. Non a caso assieme alla questione dei cristiani non-cattolici è sorta anche quella degli ebrei: le due questioni sono in certo qual modo collegate fra loro. E se si può dire che lo Spirito santo ha fatto proseguire la questione dell' ecumenismo, cioè del miglioramento delle nostre relazioni con i protestanti e con gli ortodossi, si può anche dire che lo Spirito santo ha fatto proseguire la questione delle nostre relazioni con gli ebrei.
La vostra Congregazione è proprio chiamata da Dio a questo apostolato e le sue occasioni di esercitarlo sono numerose, come spero abbiate visto.
Preghiamo ora il Signore di darvi la grazia di capire sempre più la grandezza di questo apostolato e di esercitarlo con molta energia, con molta preghiera e specialmente con molta fiducia. A questo proposito abbiamo anche la parola del Signore che «la fede può trasportare perfino le montagne» (Mt 17,20; 21,21). E montagne ce ne sono ancora fra i cristiani e gli ebrei. Ma l'onnipotenza di Dio può trasportare queste grandi montagne.

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Inserito 01/01/1970