Sul miglioramento delle relazioni ebraico - cristiane. Un memorandum a Sua Eminenza Agostino Cardinal Bea, Presidente del Segretariato per l’Unità dei cristiani

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Heschel, Abraham Joshua

Stati Uniti d'America       22/05/1961

INTRODUZIONE

Con umiltà ed in spirito di dedizione al messaggio vivente dei profeti di Israele, consideriamo i preoccupanti problemi che ci stanno davanti in quanto figli di Dio.

Ebraismo e cristianesimo condividono il credo profetico secondo cui Dio sceglie degli agenti attraverso i quali la sua volontà è resa nota e la sua opera attuata nella storia. Sia ebraismo che cristianesimo vivono nella certezza che l’umanità ha bisogno di una redenzione definitiva, che Dio è coinvolto nella storia umana e che, nelle relazioni tra uomo e uomo, vi è in gioco Dio; che l’umiliazione dell’uomo è una disgrazia per Dio; che l’infamia di un atto malvagio è infinitamente più grande di quanto sia possibile immaginare.

“Chi opprime il povero offende colui che l' ha fatto, ma chi ha pietà del bisognoso, lo onora”(Pr 14,31; cf. 17,5)

L’universo è (ormai) fatto. Il grande capolavoro che resta ancora incompiuto, ciò che ancora è in processo di creazione, è la storia. Per compiere il suo grande disegno Dio ha bisogno dell’aiuto umano. L’uomo è ed ha lo strumento di Dio che può o può non usare conformemente a questo grande disegno. La vita è l’argilla e la giustizia è il calco con cui Dio vuole dare forma alla storia. Ma gli esseri umani anziché modellare l’argilla, la deformano.

Dio chiama alla pietà e alla giustizia; questa sua richiesta non può essere soddisfatta solo nei templi, nello spazio, ma nella storia e nel tempo. E’ nel reame della storia che l’uomo deve compiere la missione che Dio gli ha affidato.

Noi e i profeti, usiamo criteri differenti. Per noi lo stato morale della società con tutte le sue macchie e chiazze, sembra gradevole e ordinato, mentre è orribile per i profeti. Tanti atti di carità sono compiuti, altrettanto decoro ne scaturisce giorno e notte; per il profeta la sazietà della coscienza è durezza e fuga dalla responsabilità. I nostri criteri sono modesti, il nostro senso di ingiustizia appena tollerabile, timido, la nostra indignazione morale, temporanea, sebbene la violenza umana sia interminabile, insopportabile, permanente. Per noi la vita è spesso serena, agli occhi dei profeti il mondo barcolla confuso. Il profeta non fa concessioni alla fragilità umana. Mostrando poca comprensione per la debolezza umana, sembra incapace di attenuare la colpevolezza dell’uomo. Noi e i profeti non abbiamo in comune la stessa qualità di sensibilità.

Chi sopporterebbe di vivere giorno e notte nel disgusto? La coscienza costruisce i suoi confini, è soggetta alla fatica e in attesa di un qualche sollievo. Eppure coloro che sono feriti e Colui che inabita l’eternità, non si assopiscono né dormono.

Il profeta è insonne e serio. Il franchincenso di qualche seme di carità non riesce a mandare in fumo le crudeltà. Forse il profeta conosce meglio l’oscenità segreta della pura iniquità, la malizia nascosta degli schemi stabiliti dell’indifferenza, di quanto noi ci curiamo di conoscere, una conoscenza che egli non ascrive alla sua intelligenza o alla capacità di osservazione.

L’orecchio del profeta è rivolto verso Dio, la sua anima, inondata dalla sua parola. Eppure l’occhio, del profeta, è rivolto alla scena umana; la società e la sua condotta sono il tema principale dei suoi discorsi. Egli è un “saggiatore e collaudatore” delle vie del popolo (Ger 6,27). E’ una caratteristica fondamentale dei profeti: apertura alla situazione storica, alla chiamata divina e alle sue richieste. Ai loro occhi la situazione umana può costituire un’emergenza divina.

 

LA PECCAMINOSITA’ DELL’ODIO

Ci troviamo davanti ad una situazione, oggi, in cui è in bilico la sopravvivenza dell’umanità, compresa la sua eredità sacra. Un’ondata di odio, pregiudizio o disprezzo possono causare, nell’originarsi, la distruzione dell’umanità. E’ perciò di estrema importanza che la peccaminosità dei pensieri di sospetto e di odio e particolarmente la peccaminosità di qualsiasi espressione di disprezzo, per quanto frivola nel suo significato, siano rese chiare a tutta l’umanità. Ciò si applica in particolare a quei pensieri ed espressioni riguardanti individui o gruppi di altre religioni, razze e nazioni. Il parlare è atto potente, e pochi uomini sanno rendersi conto che le parole non svaniscono nel nulla. Ciò che comincia con un suono, finisce con un’azione.

 

PROPOSTE PER UN MIGLIORAMENTO DELLE RELAZIONI EBRAICO-CATTOLICHE

Le proposte seguenti sono offerte nella sincera speranza di migliorare mutue relazioni fruttuose tra la Chiesa cattolica romana e la comunità ebraica. Esse sono motivate anche da un’altrettanto sincera convinzione che il vigoroso ripudio dell’antisemitismo da parte della Chiesa – francamente  espresso in diverse dichiarazioni papali e in altri scritti cattolici – deve essere accompagnato da una chiarificazione autoritativa sugli insegnamenti religiosi che si prestano ad interpretazioni enti-ebraiche e che sono state spesso usate per sostenere ideologie e attività anti-semite.

L’anti-semitismo è un male antico e complesso, che non può essere ascritto ad una sola causa, né la responsabilità per il suo perpetuarsi può essere collocata in una istituzione particolare. Eppure, in risposta all’appello profetico alla giustizia, e nel rispetto dei sei milioni di martiri innocenti, dobbiamo chiedere che tutte le istituzioni – politiche, civili e religiose – esaminino e sradichino da se stesse ogni possibile fonte di anti-semitismo; e noi dobbiamo affrontare ognuna di queste fonti, inclusi gli insegnamenti religiosi sgradevoli. In primo luogo vi è fra questi l’affermazione calunniosa secondo la quale “gli ebrei” sono collettivamente responsabili della crocifissione di Gesù, e che per questo essi sono maledetti e condannati a soffrire per sempre dispersione e deprivazione. Quest’accusa è stata usata  per secoli dagli anti-semiti per giustificare i più crudeli e inumati trattamenti riservati agli ebrei; è stata anche avanzata per giustificare il destino di sei milioni di ebrei nell’olocausto nazista.

Siccome riconosciamo che la Chiesa cattolica romana rappresenta una rocca di solidarietà, di credenza e di moralità nel mondo, in cui sono basati tanti valori relativi alle sfere morale, etica, religiosa, chiediamo la sua assistenza nel mettere fine a tali insegnamenti calunniosi, assicurando che gli anti-semiti in ciò non possano reclamare nessuna sanzione.

Siamo consapevoli che le formule utilizzate nelle seguenti proposte necessitino di ulteriore ampliamento e sviluppo come anche l’esecuzione dettagliata di quanto su ciò venga deciso, e saremo felici di continuare la nostra discussione per ulteriori chiarificazioni.

 

PRIMA PROPOSTA

Nessun’altra epoca ha testimoniato tanta colpa e angoscia, agonia e terrore. In nessun altro tempo la terra è stata tanto impregnata di sangue; in nessun’altra epoca l’uomo è stato tanto insensibile a Dio.

Un’età di suprema angoscia e estremo orrore chiede parole di suprema grandezza spirituale, azioni la cui forza morale purificherà le vite di molte generazioni future.

L’imminente Concilio Ecumenico, che ha già richiamato l’interesse dell’intera comunità mondiale, offre l’eccezionale opportunità alla Chiesa di esercitare la sua influenza morale riaffermando la sua opposizione alla persecuzione e al fanatismo, e la sua condanna del peccato di anti-semitismo. Vorremmo sperare che il Concilio Ecumenico voglia emettere una dichiarazione forte che metta l’accento sulla grave natura del peccato di anti-semitismo come incompatibile con il cattolicesimo e, in generale, con ogni moralità.

Riconosciamo, comunque, che una condanna del fanatismo violento non affronterà le radici più profonde e pervasive del problema, quello del dovere urgente di combattere l’odio che ha portato sul popolo ebraico orrori che non hanno paralleli e che richiede il rigetto di falsi insegnamenti religiosi[1].  A tale scopo, consideriamo una questione di suprema urgenza per il Concilio Ecumenico rigettare e condannare coloro che asseriscono che gli ebrei come popolo sono responsabili della crocifissione di Cristo, che a causa di questo gli ebrei sono maledetti e condannati a soffrire dispersione e deprivazione in tutti i tempi; e dichiarare che chiamare un ebreo ‘assassino di Cristo’ è un peccato grave.

Questa condanna dovrebbe essere diffusa ampiamente dalle più alte autorità della Chiesa cattolica romana a tutti coloro che sono incaricati della missione della Chiesa di predicare e di insegnare e a tutti i responsabili della guida dei fedeli.

Una tale richiesta ci sembra in consonanza con la dottrina cattolica come noi la capiamo. Capiamo che la Chiesa considera i peccati di tutta l’umanità come responsabili della morte di Gesù; e insegna che egli ha preordinato la sua morte secondo la dottrina ecclesiale del piano redentivo di Dio.

 

SECONDA PROPOSTA

Come  san Tommaso ha detto oltre 600 anni fa, a nessun uomo o gruppo di uomini può essere impedito di rendere culto a Dio nei modi in cui essi consciamente, liberamente e in virtù della luce della loro coscienza scelgono di rendergli culto, ammesso com’è ovvio che tale modo non sia anti-umano o anti sociale.

Mentre non vogliamo interferire con i diritti di nessun gruppo religioso di cercare adepti attraverso la persuasione, non possiamo non sentirci angosciati per il fatto che agli occhi della Chiesa la santità dell’esistenza degli ebrei in quanto ebrei, nella loro lealtà alla Torah, non sia riconosciuta. Attraverso i secoli il nostro popolo ha pagato un prezzo tanto alto in sofferenza e martirio per conservare l’Alleanza e l’eredità della santità nella fede e nella devozione. A  tutt’oggi il nostro popolo lavora con dedizione e con impegno per educare i suoi figli nelle vie della Torah. L’amore genuino implica che gli ebrei siano accettati come ebrei.

Perciò, è nostra sincera speranza che il Concilio Ecumenico voglia riconoscere l’integrità e la permanente preziosità degli ebrei e dell’ebraismo.

 

TERZA PROPOSTA

L’imperativo biblico include più che l’esercizio della giustizia. Più del fare, chiede amore; più profondamente che alla giustizia, rimanda a bene e male. “Cercate il bene e non il male… Odiate il male e amate il bene e alla porta stabilite la giustizia” (Amos 5,14a.15a).

“Ti è stato detto, uomo, ciò che è bene e ciò che il Signore vuole da te: fare giustizia e amare la misericordia (hesed) e camminare umilmente con il tuo Dio” (Mic 6,8) – fare la giustizia tanto quanto amare la misericordia. I profeti hanno provato a suscitare zelo, a fare del hesed un oggetto d’amore.

Ciò che Dio richiede dall’uomo è più che svolgere il proprio compito, più che compiere il proprio dovere. Amare implica sete insaziabile, passione ardente. Amare significa trasferire il centro della propria vita interiore dall’ego all’oggetto d’amore.

Comunque, non amiamo chi non conosciamo. La conoscenza e la carità sono correlate.

L’ignoranza alleva il sospetto, proprio come la falsa conoscenza genera la distorsione. Nel nostro tempo, pochi preti cattolici e laici possiedono un’informazione adeguata sulla vita ebraica e la dimensione spirituale e morale dell’esistenza ebraica degli ultimi duemila anni. Sarebbe importante affermare in un documento conciliare il bisogno da parte cattolica di cercare una mutua comprensione degli ebrei e della loro tradizione. Ciò implicherebbe un programma volto ad eliminare stereotipi abusivi e spregiativi sugli ebrei e l’ebraismo, come ad esempio il supposto contrasto nel campo della legge tra la dura applicazione della lex talionis e il Dio dell’ira della bibbia ebraica, e il Dio dell’amore dei Vangeli.

Sarebbe di aiuto il contrattaccare l’errata concezione del periodo tra il ritorno dall’esilio babilonese e gli inizi del cristianesimo come un continuo declino; richiamare l’attenzione sulla grande vitalità spirituale, morale ed intellettuale del popolo ebraico durante gli ultimi 2500 anni, l’insegnamento, il culto e l’osservanza; diffondere informazione positiva sugli ebrei e l’ebraismo; promuovere comprensione reciproca e una sempre maggiore mutua capacità d’intendere le questioni che ci riguardano e le ricchezze dei rispettivi patrimoni.

Dall’altro lato, vi è sostanziale ignoranza tra gli ebrei riguardo alle vere relazioni tra le comunità ebraiche e la Chiesa nel corso della storia. Alcuni ebrei percepiscono le informazioni che la Chiesa ha sul popolo ebraico come antagonismo e ostilità camuffati; conoscono la stella gialla e il ghetto, ma niente delle tante dichiarazioni papali che condannano la violenza anti-ebraica né degli sforzi delle autorità ecclesiastiche di proteggere gli ebrei. In tal modo, c’è bisogno di maggior conoscenza e scambio di informazioni su due livelli; conoscenza e comprensione sull’ebraismo come religione viva e vitale; e una visione onesta e non apologetica delle relazioni ebraico-cattoliche nel passato e nel presente. A tal fine potrebbe diventare fonte di benedizione:

1.   Che venga stabilito un “forum” con il sostegno e l’approvazione della Chiesa in cui la conoscenza dell’ebraismo sia resa disponibile a preti e teologi cattolici. Grazie a questo forum studiosi cattolici ed ebrei potrebbero discutere problemi di grande importanza, scambiarsi idee e deliberare su argomenti.

2.   Che siano organizzati progetti di ricerca e pubblicazioni da studiosi cattolici e ebrei in maniera congiunta

3.   Che venga pronunciata una dichiarazione in cui vengano riaffermati i precedenti pronunciamenti papali e vaticani che incoraggiano la cooperazione tra gruppi religiosi nelle questioni civili per promuovere il bene comune (es. miglioramento dei rapporti di vicinato, attività caritative, contrasto della delinquenza minorile, antagonismi di gruppo, ecc.). Fortunatamente, tale cooperazione funziona già in diverse parti del mondo. In alcuni luoghi, però, è difficile impegnare i cattolici anche nei progetti civili più degni, a causa della resistenza dell’autorità ecclesiastica locale. Crediamo che lavorare insieme in un’opera oggettiva per amore dei propri simili contribuirebbe considerevolmente e decisamente alla purificazione delle anime e alla creazione di un clima di mutuo rispetto.

 

QUARTA PROPOSTA

La preoccupazione dei profeti per la giustizia e la rettitudine affonda le sue radici in una potente consapevolezza dell’ingiustizia, una capacità di riconoscere la mostruosità dell’ingiustizia. I moralisti di ogni tempo sono stati eloquenti nel cantare le lodi della virtù. La particolarità dei profeti risiedeva nel loro svelare senza rimorso l’ingiustizia e l’oppressione, nella loro comprensione dei mali sociali, politici e religiosi.

La giustizia è preziosa, l’ingiustizia eccezionalmente comune. Uno dei problemi sembra essere il fatto che abbiamo delegato la giustizia ai giudici, come se la giustizia fosse un affare di pochi specialisti. I profeti insistono sul fatto che la giustizia deve essere preoccupazione suprema ed attiva di ogni essere umano. Non è ai giudici ma ad ogni membro del popolo che sono rivolte le parole del Signore: “cercate la giustizia, correggete l’oppressione, difendete l’orfano, perorate la causa della vedova”.

C’è un male che la maggior parte di noi condona e di cui siamo anche colpevoli: l’indifferenza al male. Rimaniamo neutrali, imparziali, e non facilmente toccati dagli errori compiuti contro altre persone. L’indifferenza al male è anche più insidiosa del male stesso; è più universale, più contagiosa, più pericolosa. Una silenziosa giustificazione rende possibile che un male erompa come un’eccezione, diventi la regola e finisca con l’essere accettato.

La conoscenza del male è qualcosa che il primo uomo ha acquisito; non è stato qualcosa che i profeti hanno dovuto scoprire. Il loro grande contributo all’umanità è stata la scoperta del male dell’indifferenza. Si può essere decorosi e biechi, pii e peccatori. Io sono il custode di mio fratello. Il profeta è una persona che soffre i danni perpetrati agli altri. Ovunque un crimine sia commesso, è come se il profeta ne fosse la vittima e la preda.

Ma soprattutto, la parola del profeta è un appello al pentimento. “Lavatevi, pulite voi stessi” (Is 1,17). Questa pulizia deve essere un processo continuo. Finché c’è odio sulla terra, o il pregiudizio è diffuso in un pubblico discorso, libro di testo o giornale, c’è l’inderogabile urgenza di gridare contro di esso.

Gli ebrei hanno riconosciuto e riconoscono di cuore e con gratitudine l’opera di sacrificio fatta nel passato da membri della comunità cattolica, sia del clero che laici, a favore degli ebrei perseguitati. Possiamo solo ringraziare l’Onnipotente per questo. Ma dobbiamo anche riconoscere che per ogni cattolico che è venuto in aiuto e in assistenza a degli ebrei, ce ne sono stati centinaia – anche leali membri della Chiesa – che nella migliore delle ipotesi sono sati indifferenti al destino della comunità ebraica e che non hanno resistito né condannato i proclami e le atrocità anti ebraiche, soprattutto in epoca nazista. Molti ebrei sono convinti che il fallimento della gran maggioranza dei leaders cattolici europei nel parlare apertamente e pubblicamente contro l’anti-semitismo ha comportato sofferenza per gli ebrei in tante occasioni e in molti luoghi. Perciò, per far sì che la Chiesa divulghi più pienamente ed efficacemente ai suoi fedeli nel mondo la sua ripugnanza per l’anti-semitismo, proponiamo rispettosamente quanto segue:

1.   Che una commissione permanente ad alto livello sia stabilita in Vaticano col proposito di eliminare il pregiudizio e di vigilare sulle relazioni ebraico-cristiane ovunque.

2.   Chiediamo inoltre che una simile commissione sia stabilita in ogni diocesi in modo da promuovere le istanze di giustizia e  di amore.

In conclusione, possiamo dire che siamo certi che un’azione positiva riguardo a questi punti in una Dichiarazione ecumenica costituirebbe un passo rivoluzionario del più alto significato. Siamo, certo, rispettosamente consapevoli delle implicazioni di vasta portata e della complessità dell’argomento delle proposte avanzate in questo memorandum.  E’ la nostra fede nelle magnifiche promesse che lo spirito di Dio concede a coloro che si dedicano a Lui che ci incoraggia a pregare; che in questa grave ora della storia Egli accordi ai Suoi figli la sapienza e il potere sugli ostacoli che possono sopraggiungere.

 

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[1] Con il gentile incoraggiamento delle autorità vaticane, l’American Jewish Committee ha presentato due memoranda, “L’immagine dell’ebreo nell’insegnamento cattolico” (22 giugno 1961) e “Elementi anti-ebraici nella liturgia cattolica” (17 novembre 1961). In questi documenti è stata rivolta l‘attenzione sulle fonti del fraintendimento e dell’ostilità nei libri di testo cattolici e nella liturgia ed è stato richiesto che la Chiesa cerchi misure appropriate per eliminare queste possibili basi di pregiudizio religioso.

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Fonte: http://www.ccjr.us/images/stories/Heschel_On-Improving-Catholic-Jewish-Relations.pdf
Traduzione a cura di Ombretta Pisano

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Inserito 14/02/2014