Tesi di Bad Schwalbach

Documenti sulla Nostra Aetate (1965)

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Teologi protestanti e cattolici tedeschi
Germania

I.   Un solo ed unico Dio parla a tutti gli uomini nell'Antico come nel Nuovo Testamento. Questo unico Dio, è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, di Mosè e dei Profeti. Se noi cristiani non crediamo in questo Dio unico, noi adoriamo un falso dio, anche se lo chiamiamo il Padre di Gesù Cristo: questa è già stata l'eresia di Marcione nel II secolo.

II.  Gesù è nato dal popolo di Israele, da una madre ebrea, della stirpe di David. Attraverso lui, il figlio di David, l'unto di Dio, noi siamo resi partecipi delle redenzione, legata per Israele alla venuta del Messia, e già promessa a tutti gli altri popoli nella benedizione data ad Abramo. Se è certo, per la nostra fede, che nella persona di Gesù di Nazareth è venuto il Salvatore che ha portato a compimento ogni promessa di salvezza, non è d'altro canto meno certo che noi attendiamo ancora il giorno in cui completeremo la manifestazione di questa pienezza.

III. La chiesa, fondata dallo Spirito santo, è composta di ebrei e di pagani, riconciliati in Cristo e riuniti per formare il nuovo popolo di Dio. Noi non dobbiamo mai dimenticare che una parte di questa chiesa è formata da ebrei e che gli apostoli ed i primi testimoni di Gesù furono ebrei.

IV. Il precetto fondamentale del cristianesimo, quello dell'amore di Dio e del prossimo, promulgato già nell'Antico Testamento e confermato da Gesù Cristo, obbliga dunque ebrei e cristiani in tutte le relazioni umane senza eccezione.

V.   Poiché l'ebreo, come il cristiano (Mc 12,33s; Rm 13,8-10), è sottoposto alla stessa legge d'amore senza limiti, è peccato sminuire orgogliosamente gli ebrei dell'epoca biblica e postbiblica in rapporto ai cristiani, e si misconosce, in questo modo, il vangelo come compimento della legge.

VI.  Non è conforme alla Scrittura assimilare "i giudei" ai "nemici di Gesù": perché precisamente l'evangelista Giovanni, - al quale questo uso si riferisce - anche là dove sembra identificarli, non designa, parlando dei "giudei", la totalità del popolo ebraico, e neppure del popolo di Gerusalemme (7, 12s), ma la gran parte dei capi politici e religiosi influenti a quell'epoca (7, 48ss). E' la ragione per cui, parlando della passione, non si dovrà omettere di ricordare  "le folle" che piangevano Gesù (Lc 23, 27) e che dopo la sua crocifissione "se ne tornavano battendosi il petto" (Lc 23, 48).

VII. Soprattutto, non è né biblico né cristiano considerare e presentare la passione di Cristo, a cui dobbiamo la nostra salvezza, in una luce parziale, attribuendola all colpa di uomini storicamente determinati o a quella di un particolare popolo. Per quanto gli uomini possono giudicarne, e basandosi sui dati del Nuovo Testamento, si possono chiaramente distinguere, tra i contemporanei di Gesù, tre atteggiamenti "colpevoli" in diversa misura:

 

  1. La condotta di alcuni, relativamente poco numerosi, che, in un momento o l'altro, sono stati implicati nella crocifissione: dagli istigatori della morte di Cristo, spinti dall'ambizione politica o dal fanatismo religioso, fino ai funzionari o ai discepoli che sono venuti meno per vigliaccheria.
  2. Il comportamento di quella moltitudine che non poteva decidersi a credere nella risurrezione di Gesù, annunciata dagli apostoli e collegata alle prove scritturistiche della sua messianicità, e chi si lasciava piuttosto convincere dagli argomenti che sembravano accusare un condannato a morte per bestemmia e per istigazione del popolo alla rivolta (cfr. At 17, 11, ma anche Lc 5, 39!).
  3. L'odio di un gran numero che perseguitarono e calunniarono i discepoli di Gesù (At 13,50; 14,19; 17,5ss; 18,12ss). Non bisognerebbe tuttavia dimenticare che sin dal Medio Evo, con Maimonide, le autorità ebraiche hanno modificato sempre più il loro atteggiamento e, al contrario dei loro predecessori, riconoscono il pagano battezzato come un adoratore del Vero Dio.

       In tutto ciò, noi cristiani non dobbiamo mai dimenticare che ci rendiamo ben più colpevoli se, nonostante le grazie ricevute:

In tutto ciò, noi cristiani non dobbiamo mai dimenticare che ci rendiamo ben più colpevoli se, nonostante le grazie ricevute:

  1. Ci lasciamo andare al messianismo politico e sociale e crocifiggiamo così, di nuovo il Signore, necessariamente nelle sue membra.
  2. Ci contentiamo di confessare con le labbra la rivelazione di Dio, invece di consentire all'obbrobrio della croce, come il Signore morto e risorto per noi ha il diritto di esigere da tutta la nostra vita; dovremmo piuttosto essere attenti agli avvenimenti ed alle promesse che ci ha dato come segni allorché, fra il 1933 ed il 1945, per la prima volta nella storia, ebrei e cristiani furono perseguitati insieme.
  3. Ci rifiutiamo di rispettare il credente sincero che non condivide la nostra fede.

VIII. Il significato della crocifissione di Cristo nell'alleanza di Dio con Israele è un mistero nascosto all'interno della fedeltà indistruttibile di Dio verso il suo popolo. Ed anche la parte centrale  dell'epistola si Romani (cc. 9-11) non ce lo rivela nei suoi tratti principali altro che per allusione. Come in ogni altro momento, nella storia di questo unico popolo, non può esser qui questione di maledizione, ma piuttosto d'una benedizione che Dio vuole in definitiva accordare al suo popolo, e con lui a tutti i popoli. Solo, (secondo Gn 12, 3) se ne esclude colui che per leggerezza o per malizia porta oltraggio a questa alleanza piena di promesse. Il cristiano si ricorda, inoltre, della parola di Cristo in croce: "Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno!". Il grido di una folla eccitata "Che il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli" deve essere volto da noi in preghiera ed esprime che questo sangue salva effettivamente coloro per cui è stato innanzitutto versato. Mai dobbiamo abusare di questo grido per presentare lo spargimento di sangue ebraico come una sorta di giusta punizione, tanto più che la cristianità primitiva ha venerato con un fervore particolare martiri di origine ebraica.

IX. L'unico  passaggio del Nuovo Testamento dove alla parola "ripudio" applicata al destino del popolo ebraico è opposta immediatamente "l'assunzione" futura del popolo dell'antica alleanza nell'alleanza nuova e definitiva, in Rm 11, 15, deve essere la norma di interpretazione di tutte le affermazioni neotestametarie concernenti il ripudio. Non è conforme alla rivelazione annunciare unicamente l'aspetto provvisorio del duplice giudizio dato dall'insieme della Bibbia,, senza evocare nello stesso tempo, l'altro aspetto, definitivo, che lo sopprimerà superandolo.

Il degli ebrei a Gesù è promesso da Dio come ultima parola della loro storia: e questa promessa è la garanzia del suo agli ebrei. Questa deve essere anche l'ultima parola della predicazione cristiana a proposito degli ebrei.

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(da: Sestieri L. - Cereti G., Le Chiese cristiane e l'ebraismo, 1947- 1982, Marietti, Genova 1983)

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Documento inserito il 13/02/2014